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Le Marce Funebri della tradizione molfettese

A cura del prof. Cosmo Tridente.

Le marce funebri della tradizione molfettese sono veri e propri capolavori musicali che fanno da colonna sonora alle processioni del Venerdì di Passione, del Venerdì Santo e del Sabato Santo. Sono composizioni che rappresentano il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo; infatti iniziano in tonalità minore, che per natura esprime tristezza, per concludersi in tonalità maggiore che trasmette serenità e gioia per la Risurrezione. Come giustamente ha sottolineato Giovanni Antonio del Vescovo, il fatto che questo genere compositivo sia chiamato marcia funebre non significa che la composizione sia di basso livello: molto spesso non si dà la giusta importanza a queste composizioni, tra le quali vi sono veri capolavori di scrittura musicale, dove i compositori curano tantissimo l’armonia, la melodia, i fraseggi e il contrappunto.

Quando sono nate le marce funebri?

Il letterato e poeta Giacinto Poli, nel dare alle stampe nel 1851 a Napoli “Una processione del Venerdì Santo” scriveva che «soffermandosi di alquanto la processione in assegnati punti, soglionsi cantare varie strofette allusive alla circostanza, tra le quali quella del O vos omnes qui transitis per viam». Così incomincia una delle Lamentazioni di Geremia (1, 12), che Dante riporta testualmente nella Vita Nuova (VII). Da ciò si arguisce che anticamente, almeno sin alla prima metà dell’Ottocento, la processione non era accompagnata dalla banda come oggi si intende, ma appare più probabile che questa (processione) abbia inizialmente sostenuto il canto, per poi gradatamente limitarsi ad eseguire le marce funebri che via via entravano a far parte del repertorio molfettese.

Quante sono le marce funebri?

Sui libretti musicali della banda se ne contano 18, ma ci sono altre, fuori libretto, che vengono raramente eseguite perché ritenute tecnicamente “difficili” da concertare o non adatte al lento e grave incedere dei portatori delle sacre immagini.
Il repertorio delle marce funebri destinate alle processioni della Settimana Santa è giunto a noi grazie al lavoro del copista Vincenzo Avellis (1868-1954). L’attività di Avellis è oggi nota attraverso i manoscritti musicali custoditi in vari luoghi di Molfetta: la Biblioteca Comunale, l’Archivio dell’Arciconfraternita della Morte e dell’Arciconfraternita di Santo Stefano. Nella Biblioteca Comunale sono custodite numerose copie di marce funebri realizzate tra il 1928 ed il 1945; tra esse assumono particolare valore storico quelle poco conosciute odiernamente come La Congiura dei Giudei, composta dal maestro di cappella della Cattedrale di Matera, Vincenzo Tritto (1846-1918) e Pianto di Madre di Raffaele Caravaglios (1864-1941).

Chi sono i compositori?

A Molfetta è particolarmente acclarato il ruolo assunto da una triade di compositori “per banda” che in qualche modo dominò gran parte dell’Ottocento e del Novecento. Vincenzo Valente (1830-1908), Saverio Calò (1845-1908) e Francesco Peruzzi (1863-1946). In realtà ad essi andrebbero aggiunti Sergio Panunzio (1812-1886), del quale è andata persa La Tradita (marcia funebre composta per la morte di Ferdinando II) e Giuseppe De Candia (1836-1904), autore di due marce funebri, di cui una s’intitola Marcia n.4, meglio conosciuta dal popolo come marcia du vòeve perché gli intervalli musicali che caratterizzano il controcanto iniziale provocano una successione di suoni che sembrano imitare il muggito del bue.
A partire dagli anni ’60 del secolo scorso si sono fatti strada giovani compositori. Ricordiamo: Giovanni Picca (con la marcia funebre “Venerdì Santo”), Alfredo Fiorentini (con le marce “A mio padre” e “Una vita incompiuta”), Damiano Binetti (con le marce “Alba di passione” e “In morte del Maestro Angelo Inglese”), Michele Consueto (con la marcia “Shalom”), Mauro Spagnoletti (con la marcia “Michele”), Giuseppe Inglese (con le marce “Paolo” e “In memoria di Gina Altamura”), Giuseppe Amato (con la marcia “Mestizia”), Angelo Inglese junior (con la marcia “Crepuscolo”).

Sensibilità dell’animo molfettese

Gerardo de Marco, nel suo libro “Dalle Ceneri alla Settimana Santa” ha scritto che le marce funebri altro non sono che «composizioni musicali alquanto orecchiabili, dalla dolce vena melodica, esprimenti dolore e tristezza (come peraltro è consono all'atmosfera di mestizia del Venerdì e Sabato Santo) che palpitano, anche nei titoli, di ricordi nostalgici e tristi, di emozioni, di sentimenti popolari semplici e genuini. Un mondo fatto di piccole cose che rispecchia e riflette l'animo e la vita del molfet­tese, il suo quotidiano lavoro faticoso, sia esso dell'artigiano rinchiuso nella bot­tega, che del contadino confortato dallo stormire delle foglie o del marinaio cul­lato dallo sciabordare delle onde. In certi passaggi musicali si è portati a imma­ginare lo sbatacchiare delle vele ed il sibilo del vento tra il sartiame delle bar­che, la dolcezza di un tramonto sul porto, l'angoscia di un temporale imminente oppure la carezzevole nenia di una madre che amorevolmente culla il figlio.
Quante vicende sono celate nei titoli delle composizioni? Non lo sapremo mai compiutamente, eppure «Lo sventurato», «L'ultimo addio», «Tramonto tragico», «Povera Rosa», «Doloroso addio» - per citarne alcuni - lasciano intuire un mondo di affetti, di sofferenze e di dolore che ognuno può ripercorrere ricor­dando le proprie esperienze quotidiane. In questo senso la musica non resta fine a sé, ma diventa motivo di meditazione, conforto, preghiera ed eleva l'animo all'amore, alla carità , alla bontà».
Dopo questa breve carrellata storica, parlare di ogni singola marcia sarebbe un discorso troppo lungo che richiederebbe di annoiare i lettori, per cui mi soffermerò solo su una marcia, lo “Stabat Mater”, abbastanza conosciuta perché viene tradizionalmente eseguita alla ritirata dell’Addolorata (il Venerdì di Passione) e della Pietà (il Sabato Santo). La marcia prende il nome dall’inno liturgico, scritto in latino da Jacopone da Todi (Stabat Mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa…) e sta ad indicare la presenza di Maria ai piedi della Croce o seduta ad un masso tenendo sulle ginocchia il corpo esanime di Gesù.
La bellezza dei versi e il loro uso liturgico hanno richiamato l’attenzione di molti compositori in tempi e modi diversi: in particolare, è stato musicato oltre che da Rossini, da grandi musicisti come Scarlatti, Pergolesi, Verdi, Donizetti, Dvorak, Vivaldi.
Lo Stabat Mater di Rossini fu composto nel 1832 ed eseguito l’anno successivo nella Cappella di San Felipe el Real di Madrid. Per una composizione così lontana geograficamente l’impegno di Rossini non fu certo massimo: dei dieci brani della sequenza solo sei vennero composti da Rossini mentre un collaboratore, Giuseppe Tadolini, realizzò i rimanenti quattro.
Nel 1841 si rischiò la pubblicazione della composizione in questa forma spuria e Rossini ebbe quindi lo stimolo di revisionare l’intero spartito e comporre i quattro numeri mancanti. La prima “ufficiale” avvenne il 7 gennaio del 1842 al Theatre des Italiens a Parigi.
A proposito di questa marcia, dobbiamo fare un po’ di chiarezza. Esistono due versioni per banda dello Stabat: la n. 1 e la n. 2. Come ha scritto Giovanni Antonio del Vescovo, la versione che solitamente ascoltiamo, la numero 1, è una riduzione fatta da un anonimo musicista molfettese. Infatti nel manoscritto conservato presso la Biblioteca Comunale “G. Panunzio” di Molfetta leggiamo nel foglio iniziale: «Marcia funebre sui motivi dello Stabat Mater del maestro Gioacchino Rossini. Molfetta, febbraio 1928», senza alcuna indicazione relativa all’autore. Al di sotto della data, figura il nome di «Vincenzo Avellis», un noto copista che in quell’anno avrebbe provveduto alla trascrizione della marcia. Una conferma ulteriore del fatto che la n.1 sia di anonimo, la si ottiene da un altro manoscritto della Biblioteca Comunale: un libretto risalente al 1895, del primo bombardino. Esso consta di 17 marce in repertorio della banda di fine Ottocento. Una di queste marce è indicata semplicemente col titolo di “Stabat di Rossini”.
La versione n. 2, invece, è una splendida riduzione dell’opera rossiniana, operata dal Maestro Francesco Peruzzi nel 1927 e dedicata a suo figlio Giuseppe Peruzzi junior, come leggiamo nel 1°foglio della partitura conservata nell’archivio dell’Arciconfraternita della Morte: «Stabat Mater n.2 di Gioacchino Rossini. Ridotto a marcia funebre per banda. Partitura. A mio figlio Giuseppe Peruzzi, Presidente, e agli amici Vito Binetti e Giovanni Abbattista, componenti l’Amministrazione dell’Arciconfraternita della Morte, offro questo modesto lavoro. Molfetta, dicembre 1927. Francesco Peruzzi». Questa marcia, come sostiene l’autore citato, venne eseguita fino al 1935, data dalla quale la marcia non figura più nei nuovi libretti ricopiati da Avellis, rimanendo in uso sino ad oggi solo la “n. 1”.
Ancora un pensiero del compianto scrittore Gerardo de Marco: «Intorno ai tradizionali eventi della Passione, i molfettesi hanno saputo creare una cornice di misticismo religioso ed intensa spiritualità che, da secoli trasmessi da padre a figlio, continuano ad affascinarci e commuoverci».

* Testo a cura del prof. Cosmo Tridente.
* Foto Archivio privato del dott. Francesco Stanzione.

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