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Maria di Magdala nei Vangeli e nella cronistoria della Arciconfraternita della Morte

A cura del prof. Cosmo Tridente.
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Maria di Magdala, detta anche Maria Maddalena o semplicemente la Maddalena, è stata, secondo il Nuovo Testamento, una donna discepola di Gesù. Il nome Maddalena deriva da “Magdala” (in aramaico מגדלא Magdala, in ebraico מגדל Migdal, che significa torre), un villaggio posto sulla costa occidentale del lago di Tiberiade, allora centro commerciale ittico, tanto è vero che in greco si chiamava “Tarichea” cioè «pesce salato».
Nel corso dei secoli la figura della Maddalena ha affascinato studiosi, teologi e artisti, come Donatello, Antonio Canova, il Cavallino, il Beato Angelico e altri, ma ha subìto una operazione di sciacallaggio e di demistificazione storica che non ha precedenti, giungendo fino ai nostri giorni, dove, sull’onda del successo planetario del libro “Il Codice da Vinci”, pubblicato nel 2003, è stata riscoperta e nuovamente calunniata soprattutto da parte dell’autore, Dan Brown.
Chi era Maria di Magdala?
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Le vecchie statue nella Chiesa della Morte (2005)
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Maria di Magdala entra in scena nei Vangeli per la prima volta come una delle donne che assistevano Gesù e i suoi discepoli coi loro beni. In quell’occasione si era aggiunta una precisazione piuttosto forte: «da lei erano usciti sette demoni» (Luca 8,1-3).Secondo la religiosità popolare di allora, il demonio poteva entrare in una persona, possederla e provocare gravi turbe psichiche: per dirla con il linguaggio odierno, avveniva una distruzione della personalità che rendeva l’individuo incapace di stabilire relazioni con gli altri e con Dio. Questa, secondo Luca, la situazione in cui si trovava la Maddalena. Tutto qui. Il fatto che da questa Maria fossero “usciti sette demoni” non autorizza alla lettura sessuale, alla identificazione con una prostituta: anche madri integerrime e vergini virtuose potevano aver bisogno di esorcismi, dato che il diavolo non guarda in faccia a nessuno. Il «sette», poi, è il numero simbolico della pienezza: sta a significare che quella donna era stata colpita da un male “gravissimo”, fisico o morale. Per Sant’Ambrogio si tratta di un numero indeterminato, e nessuno metterà in dubbio le parole di un Dottore della Chiesa. L’incontro con Gesù significò per lei ristabilimento della comunicazione e inizio di una nuova vita: subito cominciò a seguire Gesù da discepola.
Tutti i Vangeli sono concordi nell’affermare che sono state le donne discepole ad avere il coraggio e la forza di dire l’indicibile, di credere l’incredibile, di gridare contro tutti, compresi gli undici apostoli, che Gesù non era più preda della morte ma era vivente. E, tra queste, proprio la Maddalena è nominata in tutti i Vangeli con un ruolo primario in quell’evento che sarà il fondamento della Chiesa attraverso tutti i secoli fino ad oggi. Come infatti dirà Paolo: “Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede e noi cristiani saremmo i più miserabili tra tutti gli uomini”(1Cor.15,14.19).
Il Vangelo di Giovanni (20:1-18) indugia nel narrare come Maria di Magdala arrivò a svelare che Gesù era risorto. Maria vede la tomba vuota e, spaventata, corre da Pietro e dal discepolo amato per riferire che qualcuno ha rubato il corpo di Gesù. Parole che agli altri parvero allucinazioni, parole non credute, eppure così cariche di amore da provocare un’altra corsa, quella di Pietro e del discepolo amato al sepolcro. Costoro, però, tornano a casa con la bocca chiusa, non sanno cosa dire: in loro, a differenza delle donne, non c’è gioia (cf. Mt 28,8), né spavento (cf. Mc 16,7-8), né stupore (cf. Lc 24,12). Ma lei, Maria, resta là e piange: piange perché ha perduto Gesù e ora neppure il suo cadavere è accessibile alla sua affettività. L’unica cosa certa è la scomparsa: l’hanno rubato? Ed ecco una parola che risuona e indica una risposta. Poco importa se a pronunciarla sono due angeli in bianche vesti. Il significato è unico e inequivocabile: “Voi cercate Gesù il crocifisso? Non è qui, è risorto!”. Maria di Magdala, che piange e persevera nella sua ricerca del corpo morto di Gesù, sente una voce che la chiama per nome: “Maria!”. Quella voce che le aveva ridato la vita... È lui: Maria gli si getta ai piedi, li abbraccia, li bacia ed esclama: “Rabbunì, mio maestro!”. L’amore che sembrava sconfitto e negato è vittorioso: è l’unica forza che neppure la morte riesce a sconfiggere. Di questo la Maddalena è “apostola”, testimone , evangelizzatrice e corre a gridare a tutti i discepoli: “Gesù è risorto e vivente, è veramente risorto!”.
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Le Maddalene di G. Cozzoli (2008)
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La figura della Maddalena è stata confusa per lungo tempo con altre figure di donna presenti nel Vangelo. Purtroppo una buona dose di confusione su di lei e sul suo vero ruolo pare sia stata introdotta non dalla Chiesa delle origini ma bensì più tardi, quando, intorno al 590 d.C., Papa Gregorio Magno dichiarò: "Crediamo che questa donna che Luca chiama peccatrice e che Giovanni chiama Maria, sia quella Maria dalla quale - afferma Marco - furono cacciati sette demoni". L'evangelista Luca narra le vicende di una peccatrice - della quale non viene fatto il nome - la quale durante un banchetto in casa di Simone il fariseo ottenne la remissione dei propri peccati dopo aver bagnato di lacrime ed unto di olio profumato i piedi di Gesù, asciugandoli con i propri capelli (7, 36-50). L’identificazione con tale peccatrice non trova riscontro nei Vangeli canonici ed è stata rigettata dalla Chiesa cattolica nel 1969. Infatti, il Concilio Vaticano II, nella revisione del Messale romano rettifica l'immagine della peccatrice ribadendo che il giorno a lei dedicato, il 22 luglio: «Celebra solo colei a cui Cristo apparve dopo la risurrezione e in nessun modo la sorella di santa Marta, né la peccatrice alla quale il Signore perdonò i peccati» (Calendarium Romanum generale, Roma, pp. 97-98 e p. 131).
Tuttavia, l’accostamento della Maddalena all’immagine della prostituta rimane ancora viva nella tradizione popolare. Basterebbe guardare il film del 2004 “La passione di Cristo” di Mel Gibson o il film del 1988 “L’ultima tentazione di Cristo” di Martin Scorsese per rendersi conto che tale pregiudizio esiste ancora. Ma perché? Perché, come ha scritto il biblista, mons. Gianfranco Ravasi, i versetti dove si nomina Maria di Magdala come donna guarita da Gesù, “dalla quale erano usciti sette demoni”, si trovano nel testo lucano subito dopo l’episodio della donna innominata. A lei venne, allora, attribuita tutta la vicenda raccontata in precedenza dall'evangelista, nel capitolo 7. Questo travisamento esegetico porta Maria di Magdala, la prima donna nominata nel seguito di Gesù, a essere considerata una prostituta e come tale ad essere ricordata per secoli nel culto, nella letteratura, nell'arte.
Gli ultimi anni di vita della Maddalena sono avvolti nel mistero. Secondo una leggenda medioevale, quattordici anni dopo la morte di Gesù, la Maddalena, insieme con Maria di Cleofa, Massimino, Lazzaro, Marta e la sua serva Marcella, l’apostolo Filippo e altri cristiani, giunse in Provenza (Francia), dopo un lungo viaggio in nave per sfuggire alle persecuzioni anticristiane in Giudea. Si racconta che Maddalena predicasse in tutta la regione, convertendo i pagani, prima di diventare eremita in una grotta, la Sainte Baume. Qui sarebbe morta intorno al 63 d.C., all’età di 60 anni. Passiamo ora alla disamina dell’altro aspetto della presente trattazione: la statua della Maddalena nella cronistoria dell’Arciconfraternita della Morte. Nello specifico mi gioverò delle preziose notizie fornite dallo scrittore molfettese, dott. Orazio Panunzio (“Diario per la Confraternita della Morte”,1987), al quale va tutta la mia personale gratitudine per la sua Prefazione al mio libro: “Feste, ricorrenze e memorie a Molfetta”, Editore Mezzina, Molfetta, 1998.
La prima statua della Maddalena nella processione del sabato santo fu una immagine lignea, di chiara attribuzione settecentesca, che figurò tra i personaggi della passione per oltre un secolo, fino all’anno 1927.
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La prima Maddalena ('700)
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La statua in questione era stata donata all’Arciconfraternita della Morte da una devota, Maria Maddalena de Beatis, che aveva in casa propria questa immagine, a grandezza naturale. Non era quindi stata eseguita di proposito per la processione, alla quale non appariva idonea. Infatti, non rappresentava la Santa durante la passione di Gesù, ma la raffigurava in epoca posteriore, quando era penitente nel deserto. L’ignoto autore l’aveva ritratta come una giovane ed avvenente donna, in posizione eretta, recante nella mano sinistra, sollevata in alto,una rozza croce e nella destra, aderente al fianco, un teschio, simbolo della caducità della vita terrena. Alla fine dell’Ottocento, su richiesta dell’autorità ecclesiastica, la statua venne rimaneggiata da un artigiano locale perché aveva un seno nudo. L’immagine era particolarmente venerata dai Confratelli della Morte: non solo perché rappresentava la primitiva patrona del sodalizio, ma soprattutto per una reliquia, racchiusa in una piccola teca d’argento, che pendeva al collo della statua. Se fosse un frammento delle ossa oppure una ciocca di capelli appartenenti alla Maddalena, non era dato sapere.
Dato che l’inesorabile volgere del tempo conduce tutti e tutto al tramonto, giunse anche per la primigenia Maddalena lo “stop” ad una carriera lunga e prestigiosa. Nei primi anni del novecento, lo scultore Giulio Cozzoli aveva iniziato il rifacimento delle statue del sabato santo, secondo un proprio disegno estetico. Per queste immagini, poiché non sapeva scolpire a mano il legno, fu costretto ad adoperare una materia “non nobile” e più delle altre deperibili: la cartapesta. Di qui l’origine di un dissenso tra Cozzoli, la Confraternita e la Curia Vescovile. Dal 1922 la diocesi molfettese era guidata da mons. Pasquale Gioia: un religioso dell’ordine dei Somaschi, un uomo particolarmente energico, proteso verso le riforme dell’avvenire. Il Vescovo pro-tempore, interpretando alla lettera una disposizione della Santa Sede relativa alle arti sacre, sosteneva non potersi impartire la benedizione a immagini religiose che fossero fatte di materiale facilmente deteriorabile, come argilla, gesso, cartapesta e così via. Si potevano benedire soltanto le statue di legno, di pietra e di metallo. Orbene, le quattro statue già plasmate da Cozzoli per la Congrega della Morte – la Veronica, il Cristo morto, Maria di Cleofa, San Giovanni – erano in cartapesta. Mons. Gioia non spingeva il proprio rigore fino a chiedere che fossero distrutte o rifatte in legno. A tempo debito, tutte e quattro erano state benedette e la benedizione una volta data non si poteva più togliere! Ma chiese perentoriamente alla Confraternita che eventuali altre immagini dovessero essere in legno. Anzi, consigliò espressamente al sodalizio di aggiungere un altro personaggio alla processione del sabato santo: quello di Maria Salomè e ciò per completare la triade delle Marie al sepolcro.
Per la Pasqua del 1928 gli amministratori della Congrega della Morte dettero mandato allo scultore Ferdinando Demetz di Ortisei di scolpire due statue: Santa Maria Salomè a spese della Confraternita e Maria Maddalena a spese del priore Giuseppe Peruzzi. Lo scultore della Val Gardena nell’anno 1872 aveva fondato una scuola che serve tutt’ora per istruire e guidare i giovani talenti, così da preservare la tradizione e l’arte tra i giovani gardenesi e non.
Lo stesso mons. Gioia consigliò che la Maddalena fosse rappresentata, anzicchè in figura eretta, in posizione genuflessa e con le mani intrecciate, quasi fosse in ginocchio ai piedi della croce.
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La seconda Maddalena (1928)
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Per quanto giusto in teoria, in pratica il suggerimento del Vescovo risultò un vero disastro. Infatti, nella successione delle immagini recate a spalla, tutte in posizione eretta, quell’unica figura inginocchiata sconnetteva l’armonia prospettica con estrema sgradevolezza. Il risultato fu talmente biasimevole che la statua fu portata in processione solo in quell’anno (1928).
Per la Pasqua successiva, quella del 1929, il priore Giuseppe Peruzzi, ancora a proprie spese, diede mandato allo scultore di Ortisei per l’esecuzione di un’altra statua lignea della Maddalena.
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La terza Maddalena (1929)
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In tempo utile per la Pasqua del 1929, debitamente imballata, in vagone merci ferroviario, giunse a Molfetta da Ortisei la nuova statua della Maddalena. Aperta la cassa nella chiesa del Purgatorio, alla presenza dell’Amministrazione e di pochi privilegiati, tratta fuori la statua e postala su un piedistallo per poterla meglio osservare, la delusione fu grande. La santa, questa volta, era raffigurata in posizione eretta. Imitando la vecchia immagine settecentesca, riproponeva l’atteggiamento della mano, sollevata in alto a reggere un piccola croce; l’altra mano, invece di aderire al fianco stringendo il teschio, era rivolta al seno; il teschio si trovava per terra. La statua era di fattura scadente: il mantello, verde pisello, era senza movimento di piega; mani e piedi grossolani; il viso di una formosità apatica. All’uscita dalla chiesa del Purgatorio, fu chiesto ad uno dei privilegiati che erano stati presenti come fosse la nuova statua appena giunta da Ortisei. Costui rispose laconicamente: “C’è stato uno scambio nell’imballaggio; invece della Maddalena, ci hanno mandato il Sacro Cuore di Maria”. Cosa fare? Rinchiuderla nella cassa e rimandarla per ferrovia a Ortisei? Proporre una processione senza la Maddalena? Nessuna delle due ipotesi era fattibile. Gli amministratori della Morte dovettero chinare il capo e pronunciare un amarissimo “fiat”. Tolta la reliquia dalla statua della Maddalena in ginocchio e passatala al collo della più recente versione, con questo scambio di consegne si riparò al malfatto. Benché sgradita alla maggior parte dei molfettesi, essi dovettero tenersi questa Maddalena di Ortisei, vederla in processione per oltre un quarto di secolo. Infatti la grave crisi economica del 1929 rimbalzata in Europa dall’America (con replica ai nostri giorni!), indusse la Confraternita a sospendere il programma di rinnovamento delle statue.
Il programma fu ripreso soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Frattanto Cozzoli, pur senza aver ricevuto espresso mandato dalla Confraternita, di propria iniziativa si diede ad ideare modelli per le statue che ancora non erano di sua mano, anche perché con il nuovo Vescovo, mons. Achille Salvucci, era stato rimosso il divieto di plasmare immagini sacre in cartapesta. Particolare cura lo scultore mise nel dar vita alla statua della Maddalena, che realizzò con fervorosa dedicazione, segnando una vetta insuperata nella sua produzione artistica.
Esposta alla vista del pubblico nell’estate del 1950, la statua riscosse un ampio consenso. Però, se raccolse adesioni per i pregi artistici, sollevò critiche, perplessità per motivazioni di ordine morale.
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La Maddalena "scandalosa"
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Le diverse valutazioni divisero i molfettesi. Si formarono due partiti: “pro” e “contro”. Ma cos’era successo? Era accaduto che l’autore aveva ritratto Maria di Magdala in un atteggiamento di appassionata femminilità. La giovane donna, di vistosa avvenenza, aveva le braccia interamente scoperte distese nella stretta frenetica delle mani, il capo rivolto all’indietro esaltando la nudità del collo, le folte chiome ricadenti in ondate oscillanti sul mantello, il volto abbagliante, accecato dal furore delle lacrime. Chi fosse la giovane donna che aveva ispirato il nostro artista? Sembra fosse una ragazza russa, di nome Tatiana Sokolov, che in quegli anni viveva a Molfetta. Suo padre, ex ufficiale dello zar, era emigrato in Italia dopo la rivoluzione e, per vivere, si era dato all’insegnamento della lingua inglese. Infatti, fu uno dei miei docenti nella scuola superiore. Tatiana era una bella ragazza bionda, dal volto delicato e intenso, in cui gli zigomi emergenti confermavano il tipo slavo.
Il Vescovo, mons. Salvucci, visionata l’opera in questione, la giudicò non adatta ad una processione e pose il veto alla Confraternita per l’acquisto. Gli oppositori più ostinati accusavano l’immagine di essere scandalosa. Dicevano: “Pare una Didòne abbandonata!”…”Un’amante ripudiata e supplichevole!” I sostenitori più accaniti ribattevano: “Ma se abbiamo portato in giro la Maddalena con un seno scoperto, facciamo adesso questione per delle spalle nude?”
L’amarezza del Cozzoli fu grande. Nessuno potrà mai sapere cosa si siano detto lo scultore e il Vescovo. Ravvolta in un lenzuolo a guisa di sudario, la rigogliosa immagine discese nell’ombra polverosa e tetra di un sotterraneo, condannata a mai vedere la luce della strada.
Dopo 50 anni, su lodevole iniziativa del dott. Franco Stanzione, priore dell’Arciconfraternita della Morte, la Maddalena “scandalosa” fu offerta alla vista e al giudizio dei molfettesi dal 13 gennaio al 3 febbraio 2008, nella chiesa del Purgatorio, per gentile concessione del Sig. Maurangelo Cozzoli, nipote e allievo dello scultore Giulio Cozzoli.
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Manifestazioni nella Chiesa del Purgatorio (gennaio 2008)
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Oggi quelle spalle scoperte, quelle labbra rosse, quel viso rigato dalle lacrime, quei lunghi capelli rosso castano che coprono la schiena nuda, quella postura di consegna, quella bellezza stupenda di donna, non fanno più gridare allo scandalo.
Successivamente gli amministratori della Morte, anch’essi desiderosi che le statue del sabato santo fossero tutte di una medesima mano, chiesero a Giulio Cozzoli di plasmare una nuova immagine della Maddalena: la quinta della serie. Cozzoli acconsentì, ma senza alcun entusiasmo. La sua creatività si era ormai esaurita: le forze gli venivano meno e l’affievolimento della vista gli creava difficoltà.
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La Maddalena "definitiva" (1956) dopo il restauro del 2008
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L’opera ripete, nelle linee essenziali, la figura della precedente immagine, castigata nelle vesti e come tale fu accettata di buon grado dall’autorità ecclesiastica. Fu acquistata dai coniugi Leonardo de Nichilo e Consiglia Carabellese, molfettesi residenti a New York, e fu portata la prima volta in processione (quinta posizione in ordine di uscita dalla chiesa del Purgatorio) il sabato santo del 1956 a cura della Confraternita dell’Immacolata. I confratelli di detto sodalizio indossano: camice e cappuccio bianchi, mozzetta e cingolo con fiocco celesti, sulla mozzetta piastra di metallo riproducente la Madonna Immacolata Concezione.
Proprio quell’anno, con il “Novus Ordo” emesso da Papa Pio XII, mutavano gli orari delle processioni della settimana santa, per cui la statua dovette affrontare il suo debutto non nelle tenebre discrete della notte, bensì nella luce inclemente del sole.
I giudizi dei molfettesi furono positivi, ma pochi di essi si accorsero di una novità importante: la statua non portava più al collo la reliquia. Era forse risultata, da un controllo, non essere autentica? Oppure, per via della teca d’argento, era stata trafugata? Mistero…Fatto sta che la nuova Maddalena ne era sprovvista.
Si chiude così un capitolo, assai travagliato, di storia dell’Arciconfraternita della Morte.
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* Testo a cura del prof. Cosmo Tridente.
* Foto provenienti dall' archivio privato del dott. Francesco Stanzione.

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