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Pasqua e Pasquetta - Nell' astronomia, nella tradizione, nei detti

A cura del prof. Cosmo Tridente.
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Nei primi tempi del cristianesimo la Risurrezione di Cristo veniva ricordata ogni domenica, vale a dire ogni sette giorni. Successivamente, però, la Chiesa cristiana decise di celebrare questo evento solo una volta l’anno. A questa decisione diverse correnti religiose si scontrarono nello stabilire il momento della celebrazione, scontro che si è risolto solo nel 325 d.C. con il Concilio di Nicea, convocato e presieduto dall’imperatore Costantino il Grande (A.D. 280-337), con l’avallo di Papa Silvestro I. A detto Concilio pare abbia partecipato anche San Nicola, Vescovo di Myra nonché Patrono di Bari e della Puglia.
Il Concilio, stabilendo un'unica osservanza della Pasqua, desiderava mostrare il suo impegno a favore della missione unitaria della Chiesa nel mondo. Si stabilì così che la Pasqua cristiana sarebbe stata celebrata la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera.
Quindi la primavera inizia il 21 marzo (equinozio di primavera), per il calcolo bisogna trovare la data della luna piena dal 21 marzo (compreso) in poi, la domenica successiva a questa data sarà Pasqua.
Cerchiamo ora di capire il significato lessicale di questa regola sancita dal primo Concilio ecumenico del mondo, quale fu quello di Nicea (attuale Iznik a 130 km da Istambul).
Il plenilunio (o luna piena) è la fase della luna durante la quale l’emisfero lunare illuminato dal sole è interamente visibile dalla Terra. Questo succede perché la posizione del satellite è opposta a quella della Terra rispetto al Sole.
Fin dall’antichità la luna è una presenza costante nella vita e nell’immaginario degli uomini, è il simbolo più classico e suggestivo del paesaggio naturale. Lo dimostrano anche i tanti modi di dire, entrati nell’uso comune, che fanno riferimento alla luna: avere la luna di traverso, lunatico, faccia da luna piena, promettere la luna e così via. Nel plenilunio le macchie lunari sono abbastanza evidenti, nonostante la notevole distanza del satellite dalla terra di 384.500 km. E a proposito di queste macchie, Dante (Paradiso,II,49-51) accenna alla leggenda popolare di Caino il quale, dopo aver ucciso il fratello Abele, sarebbe raffigurato nelle macchie lunari, condannato in eterno a trasportare sulle spalle un grave fascio di spine. Inoltre, pare che il disco pieno della luna ispiri desideri gastronomici, come suggerisce una vecchia canzoncina di bimbi, vera e propria invocazione al satellite: “Luné lune, / nu piatt de méccarùne, / nu piatte de carteddàte, / e lluné lune aggraziàte”. ( Luna luna, / un piatto di maccheroni, / un piatto di zughi, / o luna luna graziosa).
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La luna piena, in una composizione di immagini scattate
dalla sonda Galileo nel suo viaggio verso Giove

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Plato, uno dei più grandi crateri lunari, nel plenilunio

L’equinozio (dal latino “aequus nox” ovvero “uguale notte”) è il momento in cui il sole si trova al di sopra dell’equatore celeste per cui il giorno e la notte hanno la stessa durata. Per di più, i Padri conciliari precisarono che l’equinozio di primavera era fissato convenzionalmente il 21 marzo, primo giorno di Primavera in cui tutta la Natura reca un messaggio di rinnovamento e di risveglio, dopo le lunghe notti invernali.
Perché proprio la domenica successiva? Per Alfredo Cattabiani (Lunario: dodici mesi di miti, feste, leggende e tradizioni popolari d’Italia, Mondadori, Milano 1993) il collegamento della festa con la luna è dovuta alla narrazione evangelica della Passione e Risurrezione di Gesù. “L’ultima cena – scrive Cattabiani – si svolse la sera del primo plenilunio primaverile: sicchè i cristiani che si rifacevano alla tradizione apostolica fissarono la Pasqua alla domenica successiva alla festa ebraica per sottolineare l’evento fondamentale della Risurrezione”.
La data della Pasqua è quindi compresa tra il 22 marzo e il 25 aprile (inclusi), essendo il ciclo lunare di 29 giorni. Infatti se proprio il 21 marzo è di plenilunio e questo giorno è sabato, la Pasqua sarà celebrata il giorno seguente, ovvero il 22 marzo. Se invece il primo plenilunio è di domenica la Pasqua sarà celebrata la domenica successiva. Inoltre, se il plenilunio succede il 20 marzo, quello successivo si verificherà il 18 aprile, e se per caso questo giorno fosse una domenica, occorrerebbe aspettare la domenica successiva per la celebrazione della Pasqua.
Una volta stabilita la data della Pasqua, si procede a ritroso per determinare la durata della Quaresima e la collocazione sul calendario del Carnevale e del Mercoledì delle Ceneri.
Per esempio: la Pasqua del 2009 sarà celebrata il 12 aprile, andando a ritroso di sette giorni avremo la domenica delle palme (5 aprile), retrocedendo ancora di quaranta giorni avremo il mercoledì delle ceneri (25 febbraio), il martedì che lo precede è l’ultimo giorno di Carnevale (24 febbraio) che, come si sa, ha inizio il 17 gennaio (“Sénd’Éndùene méscechere e sùene”) la cui durata dipende dal mercoledì delle ceneri.
Di seguito riporto le date della celebrazione della Pasqua fino al 2025.
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Si usa chiamare Pasqua bassa ( dal 22 marzo al 2 aprile) Pasqua media ( dal 3 aprile al 13 aprile) Pasqua alta ( dal 14 aprile al 25 aprile). La Pasqua del 22 marzo si ebbe nel 1818, l’evento si riavrà soltanto nel 2285. La Pasqua del 25 aprile, invece, si ebbe l’ultima volta nel 1943. La prossima sarà nel 2038 e l’augurio a tutti è di poterla festeggiare ancora da questo mondo.
La Chiesa esprime tutta la sua gioia per la Risurrezione di Cristo dedicando a Maria una preghiera, Regina Coeli (“Regina del Cielo”), che si recita a mezzogiorno del tempo pasquale, precisamente dalla domenica di Pasqua alla domenica di Pentecoste. La sua origine risale al XII secolo ma il suo autore non si conosce. La tradizione vuole che Papa Gregorio Magno una mattina di Pasqua in Roma, udì degli angeli cantare le prime tre righe del Regina Coeli, alla quale aggiunse la quarta.
Il lunedì dell'Angelo (detto anche lunedì di Pasqua) è il giorno dopo la Pasqua. Prende il nome dal fatto che in questo giorno si ricorda l'incontro dell'Angelo con le donne accorse al sepolcro. Invece “Pasquetta” è il termine laico che sta ad indicare questo giorno.
Il Vangelo di Marco (16,1-7) racconta che Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome andarono al sepolcro, dove Gesù era stato sepolto, con degli oli aromatici per imbalsamare il suo corpo. Vi trovarono il grande masso che chiudeva l'accesso alla tomba spostato; le tre donne erano smarrite e preoccupate e cercavano di capire cosa fosse successo, quando apparve loro un angelo che disse: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto”. E aggiunse: "Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”.
Il lunedì dell'Angelo, non è festa di precetto per i cattolici ma è festa civile, introdotta dallo Stato italiano nel dopoguerra per allungare la festa della Pasqua, in modo da rendere quel giorno più festoso e sereno, senza il pensiero incombente del lavoro dell'indomani, così come avviene per il 26 dicembre (Santo Stefano), indomani di Natale. I due giorni, Pasquetta e Santo Stefano, sono "feste di comodo", create appunto per accrescere la serenità e il clima di vacanza di questi due giorni di grande festa, Pasqua e Natale.
Si tratta di un giorno di festa che generalmente si trascorre insieme a parenti od amici con una tradizionale gita o scampagnata, pic-nic sull'erba e attività all'aperto. Una interpretazione di questa tradizione potrebbe essere che si voglia ricordare i discepoli di Emmaus (Luca, 24,13-35). Infatti, lo stesso giorno della Risurrezione, Gesù appare a due discepoli in cammino verso Emmaus, un villaggio distante da Gerusalemme una decina di chilometri. Per ricordare quel viaggio dei due discepoli si trascorrerebbe, dunque, il giorno di Pasquetta facendo una passeggiata o una scampagnata fuori città. Dei due discepoli uno si chiamava Cleopa o Cleofa, sposo di Maria, detta appunto di Cleofa. E l’altro? Non ha nome. Alcuni studiosi hanno suggerito che il discepolo di Emmaus il cui nome non conosciamo fosse una donna, e ipotizzano che si trattasse di marito e moglie in viaggio verso Emmaus. Se così fosse, questa sarebbe una diretta prova scritturale che le donne erano tra i discepoli presenti all'Ultima Cena.
La tradizione vuole che il lunedì di Pasqua (in passato, il martedì, come testimonia lo storico Antonio Salvemini in “Storia di Molfetta”) i molfettesi si rechino presso la chiesetta della “Madonna della Rosa” per onorare un dipinto, dietro l’altare, della Madonna col Bambino e una rosa che simboleggia l’ardente amore materno (“Rosa Mistica” nelle Litanie Lauretane) che Maria mostra continuamente verso i suoi figli. Secondo un’antica leggenda, la chiesetta sarebbe stata edificata come ex-voto da un facoltoso bitontino (devoto della nostra Madonna dei Martiri) che, venendo a Molfetta e assalito in quel luogo dai briganti il martedì successivo alla Pasqua, sarebbe stato salvato dall’apparizione della Madonna in un roseto. Il bitontino si sarebbe nascosto nel folto cespuglio e da questo miracolo la Vergine fu chiamata “Madonna della Rosa”. Tale tradizione popolare è ormai scomparsa. Rimane solo il ricordo di un tempo che fu, quando si rimaneva in quel luogo a festeggiare fino a tarda sera e l’animazione era grande perché si imbandivano liete tavolate, all’insegna della spensieratezza. Molte bancarelle vendevano: necédde (nocelle), néuesce (noci), éminele ammedèsche (mandole mollesche), castégne du prévete (vecchioni), semmìende (semi), taràdde (taralli). Alcuni fornelli improvvisati arrostivano carne e involtini di agnello che spandevano lontano l’odore appetitoso; altre bancarelle vendevano vino e uova sode colorate. La festa campestre finiva con il calar del sole e la gente tornava a casa stanca ma soddisfatta, per dedicarsi al “travaglio usato”, come dice Leopardi
Ma non tutto era finito perché un’altra festa pasquale era imminente: la domenica in albis (dal latino “in Albis” sottinteso “vestibus” = vestiti di bianche vesti) in cui si celebra la festa della “scarcella” e dell’indulgenza. Ma questo è un altro discorso.

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Torre Madonna della Rosa (recentemente restaurata), di cui
si ha notizia sin dal 1549. Fino al 1960 era consuetudine
recarsi in quel sito il martedì dopo Pasqua per onorare un
dipinto della Madonna ivi custodito e per trascorrere la giornata
primaverile all’insegna della spensieratezza. Attualmente la torre è
di proprietà del Capitolo Cattedrale, al quale fu ceduta il 5 marzo 1581
dal Vescovo Mons. Maiorano Maiorani (1566-1597).


Nel linguaggio comune ricorrono “modi di dire” che sono collegati con la settimana santa e con la Pasqua. Vediamoli.
· “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, cioè è giusto e opportuno trascorrere il Natale in famiglia e Pasqua altrove.
· “A Natale sul balcone e Pasqua col tizzone”, ossia se a Natale la temperatura è mite, a Pasqua farà freddo.
· Quando la Pasqua verrà il 25 aprile, il diavolo sarà allegro perché, secondo una leggenda, Dio gli promise di prenderlo in Paradiso l’anno in cui la Pasqua fosse venuta il 25 aprile.
· “Non si può vedere Pasqua né dopo San Marco, né prima di San Benedetto”. Le date estreme della Pasqua, cioé, non possono precedere la festa di San Benedetto, il 21 marzo, né seguire quella di San Marco, il 25 aprile.
· “Essere felice come una Pasqua” riferito a chi manifesta una grande felicità, proprio perché il giorno di Pasqua è un giorno di grande gioia.
· “Pasqua venga alta o venga bassa, vien con la foglia e con la frasca”, ossia quando viene Pasqua le piante sono già nella vegetazione.
· “Pasqua piovosa, gregna granosa”, cioè se piove a Pasqua si avrà un buon raccolto di grano.
· “Chi vuol far Pasqua deve far quaresima”, ossia chi vuol far festa deve lavorare sacrificandosi.
· “Pasqua marzolina, o peste o guerra o terremoti”, cioè la pasqua di marzo è presagio di sciagure
· “Se piove il venerdì santo, piove maggio tutto quanto”.
· “Non c’è sabato santo al mondo che il cerchio della luna non sia tondo”.
· “Se piove il dì di Pasqua le pesche van in tasca”.
· “Broccoli e predicatori dopo Pasqua non son più buoni”

Concludo con una mia riflessione: Ogni Pasqua che va via ci lascia tanta nostalgia per i momenti più intensi vissuti durante la Quaresima e la Settimana Santa ed anche un po’ di malinconia per il tempo che vola inesorabilmente per ognuno di noi. E allora non ci resta che personalizzare l’esortazione di Wolfgang Goethe (scrittore tedesco e cantore della personalità individuale) che ha scritto: «Poiché il tempo non è una persona che potremmo raggiungere sulla strada quando se ne sarà andata, onoriamolo con letizia e allegrezza di spirito quando ci passa accanto».
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* Testo e foto a cura del Prof. Cosmo Tridente.

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