A cura del Prof. Cosmo Tridente
La
maggior parte dei cittadini ruvesi ricordano il maestro Antonio Amenduni per le
sue meravigliose e commoventi marce funebri, alcune delle quali nate sull’onda
di emozioni dolorose, riguardanti momenti particolari della sua vita.
Antonio
nacque a Ruvo di Puglia il 5 maggio del 1896. Si diplomò al conservatorio San
Pietro a Maiella di Napoli in pianoforte, composizione e strumentazione per
banda, e canto corale. Tenne la direzione della banda ruvese fino al 1932 e
quella della scuola Comunale di musica fino al 1947 quando rassegnò le
dimissioni e l’anno successivo subentrò il fratello Alessandro Amenduni. Docente
di musica presso l’Istituto Magistrale di Foggia e di Terlizzi, morì a Ruvo il
24 agosto del 1988 all’età di 92 anni.
La
prima delle sue composizioni funebri, quella marcata come la n.1 ha per titolo Quante Lacrime, dedicata a suo zio
Berardino. Alla morte del padre dedicò quella
che porta per titolo Triste Ricordo
e sul frontespizio del manoscritto leggiamo: “alla memoria del mio caro babbo 1923” . Al 1927 (precisamente
al 24 marzo) risale Dolore Eterno. Porta la data del 15 agosto 1949
quella dedicata alla mamma il Pianto
dell’Orfano, marcia tra le più belle e complicate in questo suo genere,
come spesso hanno ammesso alcuni maestri di banda moderni.
Ricordiamo
ancora una marcia dal titolo Tristezza.
Discorso a parte merita la marcia funebre Planctus
Mariae.
Questa composizione nasce nel marzo del 1973 come colonna sonora, o
commento musicale, alla sacra rappresentazione della passione e morte di Cristo
che ogni anno si rappresentava nella cittadina pugliese in Piazza Castello. La
storia ci permette di seguire passo passo il nascere di questa opera, da quando
il maestro registrò i primi brani, in tutte le sue varianti, sull’organo della
chiesa del Redentore. Varianti che a volte contemplavano l’inserimento del
flauto suonato dal maestro Giacomo Brucoli. Nel maggio dello stesso anno
troviamo questi brani in forma di marcia funebre per pianoforte, mentre al 19
luglio 1973 risulta la trascrizione per banda. Una marcia, questa, che risulta
“la più complessa da eseguire perché il tema è presentato la prima volta nel
registro acuto (per clarinetti) e una seconda volta nel registro grave, ma con
l’aggiunta di un altro tema in contrappunto”.
Nell’ultimo
periodo della sua vita, il maestro ha prestato particolare attenzione alla
riscoperta della musica popolare. “Ci
sono individui che operano in mezzo al popolo, che vivono con le braccia, privi
di una istruzione letteraria, ma sensibilissimi a percepire nel loro animo
sensazioni che facilmente e felicemente traducono in canto. Un canto, musica e parole,
che il più delle volte nasce senza forma artistica: suoni privi di un’altezza
determinata per poterli fissare sul pentagramma, parole messe a caso senza
alcun rispetto della metrica. Eppure quel canto ha il potere di suscitare
nell’animo dell’ascoltatore un senso di gioia, di commozione, di diletto”.
Chi scrive questo è il maestro Amenduni. E più oltre: “Questo passato di vita e di arte del nostro popolo è doveroso fissarlo
nel ricordo, perché nel ricordo si rinnovella”.
E
per finire vorrei riportare un pensiero del maestro, rivolto ai giovani
nell’aprile del 1970: “A voi il nobile
compito, giovani di oggi, di far conoscere ai giovani di domani le usanze e gli
avvenimenti di cui oggi voi siete solleciti protagonisti; fatelo alla maniera
con cui il padre racconta ai propri figli i giorni più belli della sua
giovinezza, così la storia del nostro paese, tramandata da una generazione
all’altra, rimarrà sempre viva e sarà sempre più amata” (da Il Rubastino della Pro Loco di Ruvo di
Puglia).
* Testo e foto a cura del prof. Cosmo Tridente.