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Barabba ... Un misterioso personaggio nello scenario della Passione

A cura del prof. Cosmo Tridente.
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Il tema di questo articolo prende in considerazione il personaggio Barabba, protagonista anch’egli della passione di Cristo (anzi la sua liberazione fa si che Gesù venga crocifisso). Barabba lo troviamo nel racconto evangelico solo in tale circostanza.
Siamo a Gerusalemme, alla vigilia di Pasqua. Il Sinedrio (consiglio supremo di Gerusalemme che aveva poteri sia politici che religiosi) ha consegnato Gesù a Ponzio Pilato affinché lo condanni come sobillatore del popolo contro i romani, come istigatore a non versare i tributi dovuti a Cesare, come re dei Giudei. Pilato (quinto governatore della provincia romana della Giudea, sotto l’impero di Claudio Tiberio, come dimostra il ritrovamento nel 1961 di un’iscrizione latina a Cesarèa Marittima «Pontius Pilatus Praefectus Judaicae Regionis», capitale della provincia romana palestinese), dipinto dai Vangeli come un “pio imbecille” in balia del popolo, non vede nessuna colpa in Gesù e cerca un modo per poterlo liberare. Infatti tutti gli evangelisti affermano che il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero a loro scelta. Allora Pilato, convinto dell’innocenza di Gesù, chiede alla folla quale dei due volesse liberare, Gesù o Barabba, e si sente rispondere: Barabba. Pilato si sente obbligato a liberare il carcerato e a condannare a morte Gesù.
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Ma chi era realmente Barabba? Poco si sa storicamente di questo personaggio, interpretato da Antony Quinn nel film “Barabba” di Richard Fleischer (1961). Par Lagerkvist (1891-1974), premio Nobel per la letteratura, nel suo suggestivo romanzo “Barabba”(1951) così lo descrive: "… era un uomo di circa trent’anni, di corporatura robusta, ma dal colorito terreo; aveva la barba rossiccia e i capelli neri; le sopracciglia erano anche esse nere e gli occhi molto infossati, come se lo sguardo avesse quasi voluto celarsi. Sotto un occhio aveva una cicatrice profonda che scompariva tra la barba …"
Nei quattro Vangeli canonici la figura di Barabba viene presentata in modi diversi:
Il Vangelo di Marco (15,7) racconta che «un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio», sottolineando quindi l’appartenenza ad un gruppo insurrezionale, responsabile collettivamente di un omicidio. Il Vangelo di Matteo (27,16) lo definisce un «prigioniero famoso». Il Vangelo di Luca (23,19) afferma che era stato incarcerato per assassinio, oltre che complicità in una sommossa: «Questi (Barabba) era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio». Il Vangelo di Giovanni (18,40), invece, afferma che «Barabba era un brigante».
Giulio Firpo, professore di storia romana all’Università di Chieti scrive: «il ladrone era con ogni probabilità un partigiano che combatteva contro l’autorità romana». Per Vittorio Messori (giornalista e scrittore) «era quasi certamente non un brigante o un delinquente comune, ma un sobillatore politico, un guerrigliero». Per Ganfranco Ravasi (teologo e biblista) «Barabba non era un ladrone ma forse un rappresentante dei rivoluzionari zeloti» (zeloti erano partigiani accaniti dell’indipendenza del regno ebraico. Considerati dai romani alla stregua di terroristi, si ribellavano con le armi alla presenza romana in Palestina). Cerchiamo di capire queste affermazioni.
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Ai tempi dell’antico impero romano, in Palestina erano sorti gruppi isolati che volevano rovesciare il potere romano che governava in quel territorio. Sì perché a nessuna nazione piace essere invasa dalle forze militari di altre nazioni. In un gruppetto di rivoluzionari c’era Barabba e per il popolo era il “salvatore” perché i romani, anche se portavano la civiltà, non erano ben accetti. Un po’ come i partigiani italiani contro i tedeschi che erano entrati in Italia come alleati e invece si rivelarono nemici del popolo italiano saccheggiando e sterminando villaggi interi, senza alcuna pietà per donne, anziani, bambini.
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E così succedeva in Palestina contro i romani i quali, sicuramente non erano stinchi di santi, erano spietati, sanguinari e la storia ce lo insegna, tutto questo per la sete di conquista. Barabba non faceva che difendere la sua terra, il suo popolo. Fu messo in prigione come assassino dai romani, in attesa del processo. Pertanto, la parola “brigante” usata da Giovanni non va intesa come malfattore ma come rivoluzionario catturato e condannato a morte.
Ci chiediamo: che fine avrà fatto Barabba dopo la sua liberazione?
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Nel romanzo citato, l’autore scrive che Barabba, disorientato e incredulo, mentre guarda le tre croci, cerca di informarsi di Gesù. Si avvicina ai suoi discepoli, accoglie le confidenze e lo sconforto di Pietro, s’intrattiene con i primi convertiti i quali, appena scoprono la sua identità, lo respingono con orrore. Barabba non ha più il vigore e la prepotenza di un tempo, vive assorto, stralunato, con una pena segreta di cui non sa darsi ragione. Unica sua compagna è Leporina, una ragazza che vive ai margini della società, rifiutata da tutti, che un tempo rese madre e che ora lo segue con docilità e sommesso affetto. Leporina si converte e viene lapidata e Barabba, che ha assistito al fatto, vendica la donna con un nuovo delitto, dimostrando di non aver compreso nulla dell’insegnamento di Cristo.
In carcere conosce uno schiavo cristiano, Sahak, con il quale stringe una profonda amicizia e tenta di pregare con lui. I due vengono condotti davanti al procuratore con l’accusa di essere cristiani: Sahak verrà condannato a morte, mentre Barabba, per aver salva la vita, dichiarerà cinicamente di non avere alcun Dio. Come ricompensa viene trasferito a Roma, quale servo in una casa di nobili patrizi; l’impulso di incontrare e seguire i cristiani è però più forte di lui. Si unisce quindi a loro e muore martire insieme ai cristiani che Nerone ha condannato a morte con l’accusa di aver incendiato la città.
L’autore conclude il romanzo con queste parole: “Quando sentì appressarsi la morte, della quale aveva avuto sempre paura, disse nell’oscurità, come se parlasse con essa: «A te raccomando l’anima mia». Ed esalò lo spirito”.
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* Testo a cura del prof. Cosmo Tridente.
* Foto tratte dal web.

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