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L' esordio del maestro Saverio Calò con la marcia funebre "Amleto"

A cura del prof. Cosmo Tridente.
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To be, or not to be: that is the question. Essere, o non essere: questo è il problema. Quante volte abbiamo sentito queste parole, spesso in contesti del tutto estranei allo spirito con il quale sono state scritte. Un dramma che ha superato i secoli e le polveri turbinose della storia. Sto parlando di “Amleto”, una delle tragedie del poeta e drammaturgo inglese,William Shakespeare (“The Tragical History of Hamlet, Prince of Denmark”), scritta nel 1600 e interpretata sui palcoscenici di tutto il mondo.
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Ritengo opportuno riportare brevemente la trama dell’opera, affinché il lettore possa comprendere il momento della rappresentazione teatrale in cui il Maestro Calò fece il suo “debutto”.
Nel castello di Elsinore, in Danimarca, il vecchio re, padre di Amleto, è morto da soli due mesi ma la regina Gertrude, madre del giovane principe, ha già sposato il cognato Claudio che è succeduto al trono. Un fantasma con le sembianze del padre appare ad Amleto e gli rivela di essere stato assassinato da Claudio che gli ha versato del veleno nell’orecchio mentre dormiva. Lo spettro chiede ad Amleto di punire l’assassino. Amleto, sconvolto dall’improvvisa rivelazione, promette di vagliare e cercare le prove del delitto, fingendosi pazzo. Giunge al castello una compagnia di attori e il principe si accorda affinché venga messa in scena “l’assassinio di Gonzago”, opera dalla trama simile a quella raccontatagli dal fantasma. La rappresentazione teatrale inizia e il re Claudio si alza ed esce rivelando così la propria colpevolezza. Amleto raggiunge le stanze della madre e durante la loro discussione, credendo si tratti di Claudio, uccide accidentalmente Popolio, consigliere del re e padre di Ofelia, la giovane di cui egli è innamorato, che era nascosto dietro una tenda ad ascoltarlo. La giovane Ofelia impazzisce e si suicida annegandosi. Laerte, fratello di lei, vuole vendicare i suoi lutti. Il re invita Amleto e Laerte ad un duello; in mano a Laerte viene messa dal re una spada con la punta avvelenata. Laerte ferisce Amleto che, prima di morire, uccide lui e il re, mentre la regina beve per errore una coppa avvelenata, destinata al figlio. L’epilogo della tragedia vede ovviamente la morte di tutti.
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Nel 1887 l’Amleto fu ripetutamente rappresentato presso il Teatro Comunale di Molfetta o “Teatro Vecchio”. Costruito nel 1810 per interessamento del sindaco Felice Fiore, contava 400 posti suddivisi in tre ordini di palchi più il loggione, abbellito con eleganti decorazioni. Fu demolito nel 1902 ritenendolo “opera di lusso, devoluta alla casta signorile…”
Nella rappresentazione teatrale era impegnata una bellissima attrice francese, Elena Jaubert, che con il suo fascino aveva abbagliato il Maestro Calò (1845-1923). Costui era stato nominato Direttore della Banda Civica con deliberazione consiliare del 7 giugno 1886 e sperava, in quella splendida e indimenticabile stagione teatrale, di trovare in lei una “corrispondenza di amorosi sensi” come direbbe Foscolo (“Dai sepolcri”, 30), professandosi maestro compositore e regalandole bouquet di rose.
La Jaubert volle mettere alla prova il suo talento musicale e una sera gli disse: “Demani soir je dois représenter nouvellement l’Hamlet; si vous êtes vraiment maître compositeur, je vous prie de me faire une surprise…je l’attends, avez vous compris? Seulement ainsi vous aurez tout mon coeur!” (Domani sera devo nuovamente rappresentare l’Amleto; se voi siete veramente maestro compositore, vi prego di farmi una sorpresa…l’attendo, avete compreso? Solamente così voi avrete tutto il mio cuore!). La cosa si prospettava possibile. Come nei romanzi dell’Ottocento, i due erano predestinati ad amarsi e di un amore grande, intenso nel fervore, duraturo nel tempo.
Don Saverio, di animo sensibilissimo e autodidatta, era davvero innamorato della bellezza di questa donna per cui volle prenderla in parola. Poiché l’Amleto gli dava la possibilità di comporre una marcia funebre, proprio quando sulla scena (atto V, scena 1) veniva rappresentato il funerale di Ofelia, fece eseguire dagli orchestrali, da lui opportunamente istruiti, un brano musicale adeguato a quella scena, condicio sine qua non per entrare nelle grazie di Elena, intitolandolo col nome della tragedia shakesperiana. Al termine della rappresentazione teatrale, don Saverio ricevette calorosissime congratulazioni da parte del pubblico e, in particolare, da Elena Jaubert la quale non esitò a dirgli: “Maître, tu a dirigé la musique avec beaucoup d’habileté; à partir de ce moment tu seras l’homme de ma vie” (Maestro, tu hai diretto la musica con molta abilità; a partire da questo momento tu sarai l’uomo della mia vita).
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Don Saverio, lusingato dalle parole dell’attrice, replicò: “Merci beaucoup, mademoiselle, vous êtes la femme de mon coeur” (Grazie molte, signorina, voi siete la donna del mio cuore). Fu una vera e propria dichiarazione d’amore “à la française”, senza retorica, che dette origine al loro successivo matrimonio.
Ma una “tragedia” era in agguato per loro due. Al parto del figlio Sergio, la moglie Elena morì per una febbre puerperale, esattamente il 7 settembre 1890, all’età di 21 anni, lasciando il Maestro in una condizione di profondo dolore e forte turbamento. La febbre puerperale, o più precisamente la sepsi puerperale, è stata, per moltissimo tempo, una delle complicazioni più frequenti che colpiva le partorienti, causando una elevata mortalità post partum. Questa patologia, ormai del tutto debellata, è causata da un’infezione sostenuta da batteri anaerobi, da streptococchi del gruppo B, e in misura minore dagli stafilococchi.
Si era spenta una stella del firmamento per la quale il Maestro Calò aveva scritto non soltanto note musicali sul pentagramma ma anche parole d’amore, quell’amore che aveva portato nel suo cuore anche dopo la morte della giovane moglie componendo altre due marce “Dolor” e “Fatalità”, scritte entrambe nel 1897, ascoltando le quali si percepisce il lancinante dolore del Maestro che sembra voler dire: “Je t’aime, ti amo Elena, fino a quando il mio cuore stanco riposerà per sempre e le sorgenti del pianto si disseccheranno sul mio volto”. Il figlio Sergio, nel 1902, scriverà una marcia funebre in memoria della madre Elena.
Le partiture dell’Amleto furono poi donate dallo stesso Calò all’Arciconfraternita di Santo Stefano ed è una delle marce che, come vuole la tradizione, si ascolta nel concerto a piè fermo del giovedì santo presso il monumento a Mazzini (un tempo presso la chiesa di Sant’Anna).
A giudizio del Prof. Mauro Spagnoletti, la marcia, pur ben elaborata, non evidenzia ancora la maturità artistica dell’autore, raggiunta più tardi, nella composizione delle due marce più emblematiche della sua produzione (“Dolor” e “Fatalità”). “Amleto”, comunque, presenta una struttura omogenea. All’introduzione imponente in Fa minore segue un trio centrale in Re maggiore caratterizzato da una dolcezza struggente e musicalmente originale.
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* Testo del prof. Cosmo Tridente.
* Le foto sono tratte dal web, tranne quella dello spartito della marcia funebre "Amleto" che è dell' autore dell' articolo.

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