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La Madonna dei Martiri nella creatività di Giuseppe Verzella

A cura del prof. Cosmo Tridente.

La statua della Madonna dei Martiri, nostra Compatrona, fu scolpita dallo scultore napoletano Giuseppe Verzella, autore altresì della statua della Madonna del Carmine venerata nella locale chiesa di San Pietro (monacelle) a cura della Confraternita omonima. Va detto per inciso che la persona di Maria è una sola: quella storica presentata dai Vangeli e quella glorificata invocata dai fedeli. I nomi con cui ella viene chiamata esprimono un aspetto della sua vita (Immacolata, Addolorata, Assunta) o un suo intervento a favore degli uomini (Madonna delle grazie, dell’aiuto, della consolazione, dei martiri, dei miracoli). Il termine Madonna che deriva dal latino “mea domina” ossia “mia signora”, indica appunto Maria nella pietà popolare. La liturgia giustamente non ne fa uso, ma si limita a menzionare e invocare la Madre di Gesù con titoli biblici o teologici: beata Vergine Maria, Madre di Dio, Serva del Signore e molti altri modi.

Ma chi era Giuseppe Verzella?



Indubbiamente apparteneva ad una famiglia di intagliatori presenti a Napoli fin dal XIX secolo. Fonti attendibili (Archivio Storico Diocesano di Napoli) ci dicono che Giuseppe Verzella (all’anagrafe Giuseppe Raffaele Gennaro) nacque il 20 novembre 1784 da Giovanni Battista e Orsola Rispoli ed abitava vicino alle Gradelle di S. Giuseppe n. 20 a Napoli. Il 16 dicembre 1805 sposa Maria Giovanna Esposito e dichiara di essere scultore. Rimasto vedovo il 6 aprile 1845, sposa in seconde nozze Michela Francesca Lucia Jscaro, napoletana di anni 23. Questo secondo matrimonio viene celebrato il 9 maggio 1847 e anche in questa circostanza dichiara di essere scultore e di abitare al vico Avvocata, nella parrocchia di Tutti i Santi. Muore a Napoli il 28 ottobre 1853.

Anche suo fratello maggiore, Francesco, pure lui scultore, subisce la stessa sorte di Giuseppe: rimane vedovo e passa in seconde nozze. Ma, a differenza di Giuseppe (senza figli), Francesco ebbe due figli: Luigi (nato dal primo matrimonio con Maria Gaetana Teresa Landi) e Ferdinando (nato dal secondo matrimonio con Maria Pennino), entrambi scultori come il padre.

Francesco Verzella aveva realizzato le statue lignee dell’Assunta (1809), di S. Luigi Gonzaga (1814) e della Madonna del Buon Consiglio (1817), tutte su commissione delle rispettive Confraternite e tutte conservate presso la parrocchia San Gennaro in Molfetta. Inoltre, nel 1830, aveva scolpito la statua di San Giovanni, oggi conservata presso il Museo Diocesano di Molfetta.

Vent’anni dopo questa tornata artistica di Francesco Verzella (morto probabilmente nel 1835), ad un altro Verzella, questa volta a Giuseppe, viene affidato l’incarico di scolpire una statua, quella della Madonna dei Martiri, la cui icona sarebbe stata collocata nel 1188 nella Chiesa dei Martiri, edificata qualche decennio prima vicino al mare di Molfetta, nei pressi di un ospedale che accoglieva i crociati in partenza per la Terra Santa o in arrivo da essa. Proprio uno di questi l’avrebbe portata con sé, dopo averla “tolta dalle mani de’ barbari Maomettani” e l’avrebbe donata alla nostra Chiesa.

La statua (m.1,34), è un’opera in legno raffigurante la Vergine in piedi in posizione frontale su una base che simula delle nuvole. Il volto è dolce e regolare, la corporatura è piena. Le braccia sono piegate simmetricamente ad evidenziarne le mani. Il braccio sinistro regge la figura del Bambino Gesù che poggia il suo braccio destro sulla spalla sinistra della Madre e accosta il suo viso a quello di lei, volgendo lo sguardo verso i fedeli. Due angeli reggono alle loro spalle un manto damascato e frangiato d’oro.

Sulla cornice sono incise due scritte: nella parte anteriore “Alla gran Madre di Dio un divoto offre e consacra”, nella parte posteriore “Giuseppe Verzella fece nell’anno del Signore 1840”, data in cui lo scultore aveva 56 anni ed era al vertice della sua maturità artistica.



La statua, benedetta il 30 agosto 1840 dal vescovo Mons.Giovanni Costantini (1837-1852), è dunque il dono di un fedele, identificato nel molfettese Mauro Oronzo Valente, il quale pose la condizione che il simulacro sfilasse in processione davanti alla sua abitazione, sita in via Vittorio Emanuele n. 29 ( ciò è avvenuto fino al 1960). E’ probabile, come si racconta, che il Valente abbia commissionato la statua in segno di ringraziamento alla Vergine per lo scampato pericolo dall’epidemia di colera che negli anni 1836-1837 colpì il Regno delle Due Sicilie e che a Molfetta provocò parecchi morti.

Nulla però fa ritenere che si tratti di un ex voto per grazia ricevuta, circostanza che, se reale, sarebbe stata chiaramente esplicitata come vuole la tradizione. La sua committenza si inserisce in un contesto di generale rinnovamento decorativo dell’intero complesso della Madonna dei Martiri, databile a partire dal 1828, epoca in cui Mons. Filippo Giudice Caracciolo affida l’intera struttura ai Frati Minori, dai quali è ancora attualmente gestita.

Rimane comunque inconfutabile il fatto che Mauro Oronzo Valente non donò solo la statua lignea al Santuario, ma donò un volto di riferimento all’intera città di Molfetta, a ogni singolo molfettese. Infatti da quel momento nelle nicchie domestiche e stradali, sotto le campane di vetro e nelle immaginette ha il sopravvento la riproduzione in miniatura della statua

Fino al 1961 l’opera del Verzella fu custodita in una nicchia costituita da un grande armadio rettangolare di legno incassato nel vano dell’attuale collocazione. Il frate sacrista lo apriva solo il sabato e a richiesta dei fedeli. Tale occultamento, a mio avviso, era giustificato non tanto dalle leggi canoniche allora vigenti, quanto dalla constatazione che il nuovo simulacro suscitò un grande fascino nel cuore dei molfettesi al punto da mettere in second’ordine l’icona bizantina venerata sull’altare.

La statua, contiene alcuni degli elementi costanti nella produzione dei Verzella, come il viso dolce e rotondo, l’alloggio ai lobi delle orecchie per veri orecchini, le mani paffutelle in primo piano, la pienezza della persona, il panneggio fluido che accompagna la posa e non nasconde la fisicità del corpo. Tuttavia essa risulta particolarmente compatta nella struttura e sostanzialmente immobile nonostante la posa. L’autore ha voluto contenere entro margini regolari tutti gli elementi compositivi lasciando ai soli movimenti di superficie del panneggio e degli arti l’illusione di un certo dinamismo.

Probabilmente egli ha lavorato conoscendo già la destinazione devozionale dell’opera, che infatti viene condotta in processione (dal 1846 anche per la traversata su barche dello specchio di mare antistante il porto) e pertanto ha voluto conferirle particolari doti di stabilità ed equilibrio. Tuttavia non si può negare che Giuseppe conoscesse l’arte di far cantare la materia e possedesse l’estro inventivo per realizzare opere autenticamente vivaci, come quella dell’Immacolata Concezione venerata nella chiesa dell’Addolorata a Secondigliano (Napoli), abbellita di nuvolato e putti nel 1904 dallo scultore Raffaele della Camba.


* Testo e foto a cura del prof. Cosmo Tridente.


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